Aggiornato il giorno 12 Luglio 2009
Dopo i primi dieci minuti di gioco, Anchorhead ricordava Wishbringer della Infocom: per l'atmosfera, l'ambientazione, il clima. Poi è passato tutto ed è saltata fuori l'incommensurabile differenza: Anchorhead aveva intenzione di fare sul serio. Nessun incantesimo, nessun negozio in cui comprare scope magiche per prendere il volo. Sei sotto la pioggia in una città sconosciuta, tuo marito ha pensato bene di lasciarti sola per andarsene in biblioteca.
Non vedi l'ora di metterti sotto le coperte Ma non è così facile perché la città è, appunto, sconosciuta.
E forse anche tuo marito lo è.
Anchorhead non ti anticipa nulla: scoprirai tutto strada facendo. Rimarrai coinvolto al punto che, quando uscirai di casa, quando entrerai in biblioteca, quando andrai in un bar per prendere un caffè… beh, quando farai tutte queste cose penserai che la città in cui vivi, tutto sommato, non è così male. E che soltanto un computer potrà costringerti a ritornare ad Anchorhead. Oppure a leggere un'intervista alla persona che ha inventato tutto questo.
Allora, chi è Michael Gentry?
Ho 28 anni, mi occupo di un mensile scientifico: ne curo il sito e faccio lavoro di redazione. Quando ho scritto Anchorhead vivevo a Austin, Texas, ora vivo alla periferia di Washington D. C. con mia moglie, Ramee, e i miei due gatti.
Tra gli avventurieri, sei famoso per Anchorhead: quanto ci hai messo a idearlo e realizzarlo?
Ho impiegato un anno a scriverlo: alcune settimane per disegnare le mappe e costruire la storia, il resto per programmare. Almeno sei intense ore di programmazione al giorno, ogni giorno. All’epoca non avevo un computer a casa, quindi ho lavorato per lo più in ufficio. La prima versione era terrible, piena di bug: sono serviti altri tre mesi di lavoro per eliminare i bug e risolvere tutti gli altri problemi.
Ti ha aiutato qualcuno?
No. Ho avuto molti utili consigli dagli appassionati di rec.arts.int-fiction, e naturalmente i beta-tester hanno fatto un gran lavoro, ma il gioco l’ho creatoda solo.
Mike stile Miami Vice
Hai mai pensato: “E’ troppo difficile, non lo finirò mai…”?
Mai con Anchorhead. E’ successo, invece, con Little Blue Men: ho avuto una o due volte la sensazione che non sarei riuscito a finirlo. E’ stato un divertimento continuo dal primo all’ultimo momento. Mi veniva da sbattere la testa al muro soltanto quando ho dovuto fare i conti con il limite di memoria della Z-machine. C’è un limite alla dimensione dei giochi scritti con Inform. E’ un problema difficile da risolvere con tutti gli interpreti usati per far girare i giochi Inform. Io ho toccato il limite quando sono arrivato al 90% di Anchorhead, e per un attimo, ho pensato di dover abbandonare tutto, perché non sapevo cosa togliere. Ma alcuni programmatori di Rec.arts.int-fiction mi hanno aiutato a risolvere il problema.
Qual è la cosa migliore di Anchorhead?
Se intendi la parte del gioco che preferisco, senza dubbio il Chapter One. Mi ha sempre soddisfatto in tutto, funzionava esattamente come l’avevo previsto, fin dall’inizio. Mi piace molto anche la scena nella slaughterhouse.
E la cosa peggiore?
La cosa che mi piace meno in Anchorhead è l’enigma della wine bottle. E’ un ritorno alla “vecchia scuola” della realizzazione degli enigmi, è una nota stonata nella trama. Dovevo escogitare un modo per bloccare una parte della mappa e volevo che i records nella courthouse servissero a qualcosa. E’ la cosa migliore che mi sia venuta in mente.
In quanto tempo hai imparato Inform?
Inform è stato estremamente facile da imparare. L’ho insegnato a me stesso scrivendo Anchorhead e ho superato i passaggi più complicati man mano che si presentavano.
E le recensioni? Qual è quella che preferisci?
Quella scritta da Gregory W. Kulczycki. Comincia così: “Stamattina mi sono svegliato sentendo il debole odore di qualcosa che stava andando a fuoco”. E’ una recensione piena di complimenti, dunque è logico che mi piaccia, ma ho apprezzato soprattutto il modo in cui è scritta. Sono molto contento, inoltre, quando le recensioni si concentrano sul rapporto tra la protagonista e il marito, Michael, perché credo che sia quello il punto chiave del gioco. Molta gente, sottolineando il fatto che la storia è ispirata a Lovecraft, presta attenzione ai mostri e alle scene di morte cruenta, ma esclude tutto il resto. In realtà, la vera storia, in Anchorhead, riguarda le persone coinvolte in quello che accade.
E la recensione peggiore?
In realtà non ci sono state recensioni negative, anche se c’è chi rimprovera ad Anchorhead varie cose: poco spaventoso, troppe porte chiuse a chiave, poche vie d’uscite nelle parti finali. Alcuni dicono che la scrittura si fa pesante e sanguinolenta, ma questo non mi preoccupa. La scrittura di Lovecraft era molto sopra le righe. E questo può divertire, oppure no. Non amo le recensione che cominciano dicendo “Non sono un grande fan di H. P. Lovecraft". Anchorhead è stato scritto da un fan di Lovecraft per i fan di Lovecraft. Se cominci una recensione premettendo che Lovecraft non ti piace, è un chiaro segnale che, commentando il mio gioco, perderai il tuo tempo.
Hai mai pensato di vendere Anchorhead?
Devo ammettere di sì. Quando la Cascade Mountain Publishing si è fatta avanti e ha chiesto alla gente di mandare i propri lavori, ho inviato la mia proposta per Anchorhead. Il gioco era disponibile gratis da molti mesi, e ho pensato che questo li avrebbe scoraggiati, ma ho anche pensato che chiedere non costava nulla. Non hanno mai risposto. Recentemente c’era una società che voleva distribuire Interactive Fiction sul wireless Internet. Così la gente avrebbe potuto giocare usando i telefoni cellulari. Ho permesso loro di usare Anchorhead in cambio di royalties davvero contenute, ma il progetto è morto prima ancora di cominciare veramente. Ora, comunque, sono assolutamente felice che il gioco sia disponibile gratuitamente.
Pensi che, in futuro, l’Interactive Fiction avrà un nuovo mercato? La gente compra i libri, perché non dovrebbe comprare adventure?
Non credo che le avventure testuali avranno mai un mercato, almeno non quelle che conosciamo tutti. Non vedrai mai un gioco testuale in una scatola di gran lusso sullo scaffale accanto a quello in cui è esposto Half-Life, per esempio. Giocare un avventura è più difficile che leggere un libro, e non è così immediato e divertente come i giochi moderni basati sulla grafica. Insomma, non è il genere di cose che la gente vuole sui suoi computer. So che questa non sarà un’opinione popolare, ma credo che il primo – e ultimo – gioco prodotto dalla Cascade Mountain Publishing, Once and Future, sia stato l’ultimo chiodo sulla bara del mercato delle avventure. L’Interactive Fiction si è estinta perché la gente voleva altro dai giochi. Si stavano sviluppando nuove tecnologie, e c’erano queste nuove, grandi cose che si potevano fare con la grafica e l’accelerazione 3D. E l’attenzione di tutti noi si è spostata. Nessuno può vendere un’avventura testuale senza prima dimostrare di poter offrire qualcosa di realmente diverso rispetto a ciò che offrivano le avventure di vent’anni fa. Deve nascere qualcosa di nuovo.
Hai accennato a Once and Future…
Once and Future è stato il primo tentativo di tornare a vendere le avventure testuali. Si presenta con una bella scatola, offre belle dispense, e arriva dopo che si è ripetuto più volte che ci sono voluti cinque anni per realizzarlo.
Le premesse ci sono tutte…
Sì, poi lo giochi e ti rendi conto che si tratta della stessa, vecchia roba. Una grandissima parte di Once and Future è “vecchia scuola”: semplici labirinti con enigmi arditi che non hanno nulla a che fare con la storia. Ha soddisfatto molta gente, appassionata delle avventure testuali “vecchia scuola”, ma non ha offerto niente di nuovo. Non è stato creato un nuovo pubblico, non ci sono stati nuovi acquirenti. La Cascade Mountain è fallita. E la gente che davvero stava creando giochi che erano nuovi e originali ha continuato a distribuirli gratis. Penso che questo sia straordinario, ma non ci sarà mai più un mercato delle avventure testuali. Rimarrà per sempre un hobby.
Qual è stata la prima avventura che hai giocato?
La primissima è stata Zork. Naturalmente. Mi ha assolutamente affascinato, non riuscivo a risolvere neppure un enigma.
E l’ultima?
L’ultima è stata Lash di Paul O’Brian. E’ anche uno dei migliori giochi che abbia mai provato. Man mano che andavo avanti, pensavo a quanto fosse brillante. Molti hanno criticato la storia della schiavitù: questa è una cosa triste. L’idea che, in qualche modo, sia fuori luogo o inutile presentare la schiavitù come una cosa orribile e diabolica non ha alcun significato per me.
E il gioco peggiore che tu abbia mai giocato?
Non saprei rispondere. Quando inizio un’avventura ho grandi aspettative e poca tolleranza per ciò che delude queste aspettative. Dunque, se non mi diverto subito, esco e cancello il gioco.
Qual è stato il tuo primo computer?
Oooh, il mio primo computer è stato un Ibm Pc jr. L’ho avuto per tutto il primo anno di college. E l’ho usato per scrivere avventure testuali molto elementari, ma il disco in cui le registrai si è rotto e ho perso tutto.
Mi pare che tu sia un grande appassionato dei giochi e dei libri di Adam Cadre.
E’ uno scrittore eccellente e i suoi giochi hanno idee fresche e originali. Sarò sempre un suo fan.
Mike giocoso
Parliamo un po’ della Infocom. Non trovi che giochi come Lurking Horror, Plundered Hearts, Ballyhoo siano un po’ sopravvalutati? Anchorhead, ad esempio, potrebbe competere benissimo con ognuno dei tre…
Se la Infocom fosse ancora viva e avesse continuato a produrre giochi, molti di questi giochi sarebbero allo stesso livello di quelli creati dai programmatori non professionisti di oggi. Certo, credo che Anchorhead sia meglio di Lurking Horror, ma a mio vantaggio ci sono dieci anni di tecnologia e di esperienze. Molti giochi Infocom sono “vecchia scuola”, ma soltanto perché la Infocom non ha mai avuto la possibilità di crescere e di superare la “vecchia scuola”. Alcuni giochi, come Ballyhoo e Sherlock, sono scritti in modo eccellente e hanno idee innovative applicate in un design “vecchia scuola”. Tuttavia, credo che Plundered Hearts sia uno dei migliori giochi di sempre: reggerebbe il confronto anche con quelli di oggi. E’ perfettamente in sintonia con il genere, tutti i personaggi sono sviluppati bene e descritti bene, e ogni enigma è giustificato dagli eventi. E anche l’unico gioco Infocom che sia riuscito a risolvere senza neppure un aiuto!
Per essere di buona fattura, l’Interactive Fiction dev’essere anche letteratura?
Io preferisco i giochi che si concentrano sulla buona scrittura e sulla trama: per questo mi piacciono così tanto Adam Cadre e Andrew Plotkin. Ma esistono molti appassionati che preferiscono giochi basati sugli enigmi. Non c’è niente di male in questo, se non fosse per il fatto che così le avventure non saranno mai nulla di più che un hobby divertente.
E le avventure grafiche? Le giochi?
Ne ho giocata qualcuna, ma a conti fatti le avventure testuali sono molto superiori. Il problema delle avventure grafiche è che non puoi offrire la stessa libertà d’azione presente in un un’avventura testuale, perché l’interfaccia non lo consente, oppure perché non puoi permetterti tutte le animazioni e le immagini necessarie a mostrare tutto quello che è possibile fare. Perciò ti restano due opzioni. Puoi arbitrariamente impedire al giocatore di fare il 90% di quello che gli viene in mente, o puoi realizzare il gioco in maniera così furba per far sì che il giocatore non pensi mai di fare determinate cose ai primi tentativi: sono pochissimi, però, i giochi fatti così.
Il gatto di Mike
Fai qualche esempio.
The Longest Journey è un buon esempio del primo tipo di giochi. Ha un bell’aspetto, ma sotto sotto è terribile e ti costringe a fare un sacco di cose che non hanno senso per risolvere enigmi assolutamente arbitrari. Grim Fandango è l’esempio perfetto del secondo tipo di giochi. Ogni azione ha un senso, ma solo perché le scelte sono poche.
Che consigli daresti agli ideatori di avventure? Quali sono i segreti per realizzare giochi validi?
Bisogna saper scrivere bene, innanzitutto. E’ incredibilmente importante riuscire a dare il massimo impatto con il minor numero di parole possibile.
E poi ci vuole un buon soggetto.
Come ho già detto, preferisco i giochi che si concentrano sulla storia. In Anchorhead la storia è fondamentale: il gioco si basa sull’idea che un enigma non deve sempre essere engimatico. Insomma, non bisogna per forza inserire pulsanti, combinazioni, colori da far combaciare e così via. Un enigma è qualcosa che controlla l’andamento della storia. Qualcosa che impedisce al giocatore di continuare finché tu, l’autore, non sei pronto a farlo procedere. Questo è un enigma. Se cominci il gioco a casa tua e non sai in quale altro posto andare e c’è un biglietto sul caminetto che ti dice dove andare, quel biglietto è un enigma. Lo risolvi andando in salotto, prendendo il biglietto e leggendolo. Il gioco non continuerà fino a quel momento. L'enigma di questo tipo è uno strumento molto potente.
Qualche esempio?
Prendete Shade l’ultimo gioco di Andrew Plotkin. Gli “enigmi” in quel gioco consistono nell’aprire una borsa, aprire un pacchetto di cracker, usare l’aspirapolvere. Nessun gioco di prestigio, e tanto basta. Credo che molti giochi abbiano enigmi “vecchia scuola” – pulsanti, leve e combinazioni eccetera – solo perché l’autore crede che gli enigmi debbano essere fatti così.
La moglie di Mike a Roma
Chi sono le prime persone a giocare le tue avventure? Amici, parenti, tua moglie?
La prima persona ad aver provato Anchorhead è stata una mia collega, Brenna Murdock. Poi sono arrivati gli appassionati di rec.arts.int-fiction. Per vari motivi, nessuno dei miei amici ha mai avuto interesse per le avventure testuali. Finalmente ho convinto mia moglie a giocare qualche mese fa. Prima di allora non l’aveva mai fatto, anche se per la protagonista del gioco mi sono ispirato a lei!
A parte Lovecraft, quali sono I tuoi scrittori preferiti?
Leggo praticamente di tutto. Sono un grande appassionato di narrativa fantasy e di fantascienza. ma non sopporto quella di largo consumo. Amo gli autori che fanno cose ardite e originali come Harlan Ellison, Michael Moorcock, Philip K. Dick, Mervyn Peake, Tim Powers. Leggo anche molti libri di religione e mitologia, Carl Jung e Joseph Campbell.
E Little Blue Men? E’ stato più facile da realizzare o hai avuto difficoltà?
All’inizio è stato tutto molto semplice, quasi subito però sono cominciati i problemi. Ci ho lavorato senza continuità per diversi mesi. Era molto meno grande di Anchorhead e, ovviamente, il programma era molto meno lungo. Ma alcuni enigmi erano autentici mostri: il distributore automatico, le pillole nel caffè, la ghiacciaia. Ho pensato più volte che non avrei mai finito il gioco. E poi non riuscivo a creare il tono e l’atmosfera che volevo. Il risultato è un gioco scritto senza aver raggiunto un obiettivo particolare.
Oggi, grazie a Internet, è possibile parlare con gli autori di Interactive Fiction, segnalare errori, offrire soluzioni. Non trovi che tutto ciò sia straordinario?
Assolutamente sì. E’ Internet che fa sopravvivere l’hobby delle avventure testuali. Non sarei mai riuscito a finire – e forse non avrei mai iniziato – Anchorhead senza il dialogo e i suggerimenti offerti dalla Rete.
A quando il prossimo gioco?
Non ho intenzione di scrivere avventure prossimamente. C’è qualche idea che mi balla in testa, ma adesso sto lavorando a un mucchio di altri progetti, e non mi resta tempo per la programmazione.
Sul tuo sito Internet, www.edromia.com , recensisci molti libri. La lettura è il tuo unico hobby o c’è qualcos’altro?
Sono appassionato di giochi di ruolo di ogni tipo e spero di scrivere, da free-lance, storie per alcune società che li diffondono. A parte questo, il mio hobby più grande è collezionare libri.
Grazie, Mike.
E' stato un piacere.
Aprile 2001