ENIGMI

“Io pensavo intanto come togliermi d’impaccio, come trovare la liberazione dalla morte per i compagni e per me. E andavo tessendo tutti gli inganni, tutte le astuzie possibili. Si trattava della vita: un grande pericolo ci era addosso”.
Omero, Odissea, canto IX.

Enigmi. E’ forse il tema più discusso dagli autori e dai giocatori di Interactive fiction. Il libro sull’If Theory che sta curando Emily Short e che sarà distribuito nel giro di un anno dedica un grande spazio alla teoria degli enigmi (puzzle) nei giochi d’avventura. Tempo fa c’è stato un forum sugli enigmi: organizzato da xyzzy.com, proponeva gli autorevoli pareri di gente come Adam Cadre ed Andrew Plotkin. Su rec.arts.int-fiction ci sono centinaia di messaggi sugli enigmi e il dibattito sulle avventure senza enigmi (puzzleless) è sempre vivo.
Nel suo bel saggio Roger-Giner Sorolla si sofferma sugli enigmi chiave-serratura: trova un oggetto che te ne fa trovare un altro, quest’altro ti fa aprire una porta e così via…

Credo che creare enigmi sia difficilissimo. E allo stesso tempo credo che un lavoro di interactive fiction, per definizione, non possa essere un lavoro senza enigmi: Photopia è un racconto, non un’avventura testuale. Si deve trovare il giusto mezzo: Mike Gentry l’ha trovato con Anchorhead, Dave Lebling con il formidabile Deadline. Chi scrive Interactive fiction sente la necessità di creare enigmi, anche se il racconto non lo richiede. L’interattività è data dalla stessa esplorazione, dal prendere e lasciare un oggetto, dall’aprire e chiudere una porta: eppure, chi scrive Interactive fiction si sente quasi in dovere di architettare un rompicapo o una serie di rompicapo, con il rischio di inserire una nota stonata nella trama. In questo caso, sarebbe meglio rinunciare al rompicapo e mandare avanti la trama.

Parlo pensando alla mia piccola esperienza e, per questo, cito Flamel. Per alcuni, è un gioco troppo facile: c’è chi avrebbe voluto qualche enigma in più. Ma secondo me ce ne sono anche troppi! Scrivendolo, a volte pensavo: beh, ora sarebbe meglio mettere un enigma in più, tanto per dare una spintarella alla longevità. Bastava, che ne so, chiudere una porta a chiave e nascondere la chiave. Ma che senso ha?

Secondo me, quando ci chiediamo se valga o meno la pena di inserire un enigma dobbiamo farci due domande:

1) E’ un enigma originale?

2) E’ un enigma legato alla storia?

Se per una delle due la risposta è sì, via libera. Altrimenti, meglio andare avanti con la storia. Questo discorso, ovviamente, vale se l’avventura che stiamo scrivendo è basata sulla storia, sulla narrazione. Se è basata sugli enigmi la situazione è del tutto diversa: in questo caso, più enigmi ci sono meglio è, scateniamoci con le chiavi sotto la sabbia e le funi da-attaccare-agli-alberi-da-calare-giù-per-gli-scogli.

Mettiamo che l’avventura sia basata sulla storia (Interactive fiction) e facciamo un esperimento: prendiamo tre grandi storie e vediamo quanti enigmi saltano fuori.

ODISSEA

Estratti dal Libro nono (l’avventura del Ciclope). Il testo è tratto dal cd-rom dell’Espresso Garzanti libri 2000 con la traduzione di Giuseppe Tonna.

Comincia l’avventura:

“Voi altri ora rimanete qui, fedeli compagni: io vado con la mia nave e con i miei a far conoscenza di quegli uomini là, a vedere chi sono, se prepotenti, selvaggi e incivili, oppure ospitali e timorati degli dei”.

Vediamo quando Odisseo entra nell’antro del Ciclope:

“Entrando nell’antro, guardavamo con stupore ogni cosa. I graticci eran carichi di formaggi, gli stabbi erano stipati di agnelli e di capretti. Separati e distinti per età, branco per branco, stavano al chiuso: c’erano in un recinto i primaticci, in un altro i mezzani, in un altro ancora i più teneri. Traboccavano di siero tutti i vasi, secchie e conche, lavorate con arte: dentro egli ci soleva mungere”.

E’ una perfetta descrizione (lo so, non servono aggettivi se si parla di Omero) di una stanza per un’avventura testuale. Poco dopo entra il Ciclope (il nostro Npc, non player character, principale).

“Levò in alto un grosso pietrone e lo posò sull’entrata: era di un peso enorme, neanche ventidue carri solidi, a quattro ruote, l’avrebbero rimosso dal suolo. Tanto grande era la rupe scoscesa che egli mise nel vano della porta”.

Ecco: Odisseo e i suoi si ritrovano imprigionati nell’antro: il pietrone mosso dal ciclope blocca l’entrata. Può essere un primo enigma. Il Ciclope non ha alcuna intenzione di farli uscire: per lui, sono buona carne da mangiare:

“Balzando su gettava sui miei compagni le mani: Due ne abbrancò in una volta, e come cuccioli li percoteva contro terra. Le cervella colavano giù, bagnavano il suolo. Poi tagliandoli via via membro a membro, se ne fece la cena. E mangiava come un leone cresciuto sui monti, non lasciava niente: mangiava le viscere, le carni, le ossa con dentro il midollo”.

Insomma, la situazione si complica, e non poco. Tocca all’astuto Odisseo sbrogliarla, ecco il suo primo pensiero:

“Subito mi venne l’idea di andargli vicino, di trarmi dal fianco la spada tagliente, e tastando con la mano, colpire là, al petto, dove il diaframma avvolge il fegato. Ma un altro pensiero mi trattenne: lì dentro saremmo periti anche noi di mala morte. Mai avremmo potuto smuovere con le mani dall’alta imboccatura il pietrone pesante che ci aveva messo”.

Straordinario esempio di enigma legato a un altro enigma. L’obiettivo è liberarsi del Ciclope e uscire dall’antro. Uccidere il Ciclope, però, sarebbe inutile: perché morto lui, nessuno avrebbe la forza di spostare quel pietrone e liberare il passaggio (questo è un possibile finale negativo, una possibile morte nell’avventura).

Bisogna studiare un piano, diamo un elemento in più:

“C’era, del Ciclope, stesa a terra accanto a uno steccato, una grossa mazza, ancor verde, di oleastro: se l’era tagliata da portare per i pascoli, quando fosse secca. E noi, così a occhio, la stimammo uguale all’albero di una nave da venti remi, una nave, intendo dire, da trasporto, larga, nera, che varca il grande abisso: tanto era lunga, tanto era grossa a guardarla”.

Ora abbiamo più o meno tutti gli elementi, è il momento del fatidico prompt:
Cosa vuoi fare adesso?

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Ecco cosa fa Odisseo (intanto, il Ciclope è uscito dall’antro, ma tornerà):

“Mi ci misi accosto [alla mazza, ndr]: ne tagliai via un troncone della misura di una tesa, e lo passai ai compagni: dissi loro di raschiare.”

“Essi lo resero liscio. Poi mi ci misi io, gli feci la punta, lo presi su di peso, l’arroventavo dentro il fuoco ardente. E lo nascosi tutto ben bene sotto il letame che giaceva sparso da ogni parte a grandi mucchi nella spelonca.”

Beh, in sei versi (tanti sono i versi in greco) c’è una gran bella serie di cose da fare per un avventuriero. Compreso un coinvolgimento dei compagni (altri Npc). Anche di questo s’è parlato spesso: enigmi legati agli Npc. Omero ci dà un sensazionale esempio.

Ma siamo sollo all’inizio. A questo punto il Ciclope torna e Odisseo passa alla fase due del suo piano:

“A sera arrivò dal pascolo con le sue bestie dai bellissimi velli. E subito le sospinse dentro la vasta spelonca, tutte quante: nessuna ne lasciò fuori nella corte cinta dal muro, o per qualche suo improvviso sospetto o perché un dio gli suggerì così.

Levò in alto il grosso pietrone, lo posò sull’entrata: poi sedeva a mungere le sue pecore, mungeva le capre belanti, tutto con ordine, e sotto ogni madre avviava il suo piccolo.

Quando ebbe sbrigato quelle sue faccende, due ne abbrancò, ancora una volta, e se ne fece la cena.

Allora io mi feci avanti. Andai vicino al Ciclope, gli parlavo, tenendo fra le mani una ciotola colma di vino nero. Dicevo: Ciclope, to’, bevi vino ora che hai mangiato carni d’uomo”.

Qui c’è un enigma classico: DAI OGGETTO A… Solo che non basta farlo una volta:

“E io gli porsi ancora una volta di quel vino rosso. Tre volte gliene diedi e tre volte egli bevve d’un fiato, nella sua stoltezza”.

Bisogna darglielo, in tutto, quattro volte: poi sarà ubriaco, meno lucido, più disponibile verso Odisseo che gli ha offerto quel buon vino. Sarà pronto a cadere in trappola.

“E quando il vino gli andò giù, al Ciclope, fino ai precordi, mi rivolgevo a lui con dolci parole: Nessuno è il mio nome: Nessuno mi chiamano la madre e il padre e anche tutti i compagni.> «Così parlavo. Ed egli subito mi rispose, lo spietato: < Nessuno, io, per ultimo me lo mangerò, fra i suoi compagni: quegli altri là, prima. Questo sarà per te il mio dono ospitale>”.
Finora era stato tutto abbastanza lineare, il testo ci forniva enigmi che potevamo tranquillamente inserire (senza neppure riadattarli) in un’ipotetica avventura.

In quest’ultimo caso, però, è più difficile: Odisseo, infatti, inganna a parole il Ciclope e, oggi, nessuna avventura può offrire una tale interazione. Dobbiamo, dunque, girare l’enigma. Un’idea potrebbe essere: dopo aver bevuto il vino, il Ciclope ci chiede: “Come ti chiami, tu, che mi offri quest’ottima bevanda?”. E via con il prompt. A questo punto starà al giocatore, a chi sta davanti al video, escogitare il tranello di Odisseo e rispondere “Nessuno”. Se sbaglierà potrà entrare in un cul de sac, magari procedere ma non uscire mai dall’antro. Bellissimo enigma, bellissima idea con tanto di cul-de-sac più legittimo che mai.

Andiamo avanti.

[Il Ciclope, ndr] rovesciandosi indietro cadde supino. E là giaceva immobile, con la grossa ce,rvice piegata da un lato. Lo soggiogava il sonno che tutto doma. E dalla gola gli venivano su sgorghi di vino e bocconi di carne umana. Ruttava e vomitava, ubriaco com’era.”.

E’ arrivato il momento di usare la mazza nascosta prima:

“E allora io cacciai quel palo sotto il mucchio di cenere, in attesa che si arroventasse”.

Cos’ha in mente l’astuto Odisseo?
Siamo a un altro prompt.
Ecco cosa fa Odisseo: decide di accecare il Ciclope, ma non può farcela da solo perché la mazza è troppo pesante e, allora, chiama di nuovo in causa i suoi compagni (Npc) e agisce:

“Essi afferrarono con salde mani il troncone acuminato in punta e lo ficcarono dentro l’occhio: ed io dal di sopra, appoggiato, lo facevo girare”.

Il Ciclope, a quel punto, “Un urlo mandò, lunghissimo, spaventoso: intorno risuonava la rupe. E noi atterriti fuggimmo via. Egli si tolse dall’occhio il palo lordo di molto sangue, e lo scagliò lontano da sé, agitando le mani come un forsennato. E chiamava a gran voce i Ciclopi che abitavano all’intorno, dentro spelonche, su per le cime ventose”.

E gli altri Ciclopi gli chiedono: “Cosa c’è, Polifemo, che ti dà tanta pena e ti fa gridare così nella notte e svegli noi dal sonno? Qualcuno degli uomini ti ruba, a tuo dispetto, le bestie? O c’è qualcuno che vuole ucciderti per via d’inganno o con la forza?”.

Ed ecco che scatta la nuova trappola di Odisseo, perché il Ciclope (come tutti sanno) risponde così: “Amici, Nessuno mi vuol uccidere per via d’inganni e non con la forza”.E quelli rispondevano: “Se dunque nessuno ti fa violenza e tu sei solo, il male ti viene dal grande Zeus e non c’è modo di aver scampo. Ma tu raccomandati al padre tuo, a Posidone sovrano”.

Se prima avessimo un altro nome, saremmo entrati in un cul-de-sac: gli amici del Ciclope sarebbero entrati e sarebbe stata la fine. Scongiurato il pericolo dei rinforzi, bisogna adesso uscire dall’antro. E non è cosa facile perché il Ciclope “Andando a tastoni, tolse via la pietra dalla porta, e vi si sedette lui, là, sull’entrata. Poi distese entrambe le mani, se mai ne poteva ghermire qualcuno che intendesse uscir tra le pecore. Così balordo mi credeva nella sua mente!”

Ecco automaticamente risolto l’enigma del pietrone. Col senno di poi quel pietrone è una formidabile “falsa pista” che, magari, ha fatto perdere un sacco di tempo al giocatore impegnato a cercare un modo per spostarlo. Invece, il Ciclope l’ha spostato per noi, ma poi ha bloccato lui l’entrata: un nuovo enigma.

Entra in gioco, ora, un altro elemento:

“C’erano là dentro i maschi delle pecore, dal folto vello, ben pasciuti, belli, grandi: avevano una lana color viola scuro”.

(ma, in un’ipotetica avventura, quest’elemento potevamo fornirlo prima, magari nella descrizione della stanza).

Siamo a un nuovo prompt.
Ecco cosa fa Odisseo:

“In silenzio li legavo insieme con vimini ben attorcigliati, di quelli su cui soleva dormire il Ciclope, quel grosso bestione selvaggio. Prendevo tre montoni per volta: quello di mezzo aveva da portare uno dei miei compagni, gli altri due camminandogli a fianco facevano da riparo. Così ogni tre di quei montoni trasportavano un uomo”.

Non male eh? Un altro bellissimo enigma per il nostro gioco. Ma non basta:

“Ed io per me – c’era là un ariete, la più bella bestia di tutta la mandria – per me afferrai questo per di dietro, e scivolando sotto il suo, ventre lanoso stavo giù, a terra, fermo: poi mi avviluppai le mani dentro quel vello stupendo, e mi tenevo attaccato senza mai mollare, con paziente cuore. E così sospirando aspettammo la divina aurora”.

Ed ecco come escono:

“Quando al mattino apparve Aurora, si lanciarono i maschi, fuori verso i pascoli: belavano le femmine non ancora munte intorno agli steccati, avevano le mammelle gonfie di latte. Il loro padrone, tormentato da spasimi atroci, tastava con le mani la schiena di tutte le bestie che si arrestavano davanti a lui, diritte. E non gli venne in mente, allo stolto, che quelli erano legati sotto il petto dei villosi montoni”.

Certo, con L’avventura del Ciclope è stato facile trovare un enigma dietro l’altro. Ma anche altri passi dell’Odissea offrono molti spunti. La prossima analisi, però, sarà su Raymond Chandler: Il Grande Sonno.
(segue…)