Aggiornato il giorno 11 Maggio 2020
Una brillante carriera può cominciare anche con una caccia all’errore. E’ quello che è successo a Steve Meretzky, che partì come beta-tester e divenne uno dei più grandi autori di avventure della storia.
Adesso ha cambiato lavoro perché con quel tipo di giochi è impossibile guadagnarsi da vivere.
Forse in un’altra galassia, in una delle galassie in cui ci ha portato lui, le cose sarebbero andate diversamente.
Noi, adesso, possiamo soltanto limitarci a ricordare quello che successe più di vent’anni fa…
E’ vero che entrò alla Infocom grazie al suo compagno d’appartamento al college?
Nell’81 il mio compagno di stanza Mike Dornbrook era il primo e – all’epoca – unico beta tester della Infocom. Cominciò con Zork I usando l’Apple II sul tavolo della nostra cucina. Ogni tanto giocavo anch’io e, nel giro di pochissimo tempo, mi appassionai. Zork II seguì presto Zork I nella nostra sala da pranzo, diventata ormai un “laboratorio di testing”. Mi segnavo tutti i bug, anche se quello era il lavoro di Mike: la differenza tra noi era che lui veniva pagato e io no. Mike, poi, si trasferì a Chicago per andare in una scuola di business. Marc Blank aveva bisogno di qualcuno che testasse un nuovo gioco Infocom: Deadline. E siccome avevo fatto un buon lavoro con Zork I e Zork II, mi chiamò. Avevo appena lasciato il mio lavoro – ero impiegato in una compagnia di costruzioni, una cosa odiosa – e accettai con entusiasmo.
E’ vero che la Infocom non aveva neppure una sede?
All’inizio – prima che arrivassi io – la Infocom lavorava virtualmente. Poi si stabilì in un piccolo ufficio a Faneuil Hall, nel centro di Boston: una stanza sola, che il presidente Joel Berez divideva con la segretaria. Nel gennaio ’82 la Infocom si trasferì nel suo primo, vero ufficio, al numero 55 di Wheeler Street, a Cambridge. Era un posto meraviglioso, tutto rivestito in legno, con stanze singole (niente cubicoli), finestre apribili e un condizionatore d’aria in ogni ufficio, soppalchi, scale a chiocciola, cortile recintato con tanto di vasca dei pesci, sala ricreativa con piscina… L’atmosfera, soprattutto nei primi giorni, era straordinaria. Eravamo tutti giovani, un gruppo di persone con grande creatività. Le vendite andavano benissimo e sembrava che solo il cielo potesse essere il nostro limite. Lavoravamo assieme, si socializzava alla grande. Insomma, un lavoro divertente e un gruppo di persone fantastiche.
Qual è la cosa migliore successa in quel periodo?
L’incontro con Betty Rock, che da quindici anni è la mia amabile e amata sposa.
E la peggiore?
La peggiore, ovviamente, è successa quando la Activision ha chiuso la Infocom nel maggio ’89. Prima c’era già stato un periodo buio: i licenziamenti tra l’85 e l’86.
Ha detto che il gruppo di lavoro era straordinario: possibile che non sia mai successo niente di spiacevole? Ci sarà pure stato qualche litigio…
Mi arrabbiavo soprattutto per il marketing. Me la prendevo con l’agenzia alla quale erano state affidate le confezioni dei nostri giochi dei primi anni. Qualche buon lavoro l’hanno fatto – ad esempio la confezione di Deadline – ma spesso ci mettevano in conto spese assurde, inconcepibili. E poi prendevano decisioni creative senza avvisare gli autori e, naturalmente, i giochi ne risentivano. Ecco la peggiore: per “Sorcerer” avevo predisposto una guida per il giocatore con le descrizioni di alcune creature presenti nell’avventura. Volevo che fosse un libriccino. L’agenzia, però, pensò di trasformarla in un disco girevole: sembrò una buona idea a tutti. Ma molte settimane dopo, quando ormai era troppo tardi per fare altri cambiamenti, si presentarono con l’Infotater – così avevo ribattezzato il disco girevole – pronto per la stampa: ebbene, avevano ridotto – anzi dimezzato – i testi di tutte le descrizioni dei mostri. “Oh – si giustificarono – Naturalmente nel progetto di questo disco girevole non c’era molto spazio per il testo”. Mi impuntai e arrivammo a un compromesso: una parte del testo tagliato, infatti, fu recuperata. Ma il tutto fu davvero spiacevole. Un anno dopo, ironia della sorte, si decise di cambiare le confezioni di tutti i giochi Infocom: le scatole divennero più piccole e tutte uguali. Sto parlando di quelle più diffuse, che si aprono come un libro. Beh, il famoso disco girevole era troppo grande per queste nuove confezioni e venne rifatto: divenne così… un libriccino.
Quanto guadagnava ai tempi della Infocom?
Ero soltanto un dipendente stipendiato, non ho mai incassato royalties o altro. Ma oltre al salario c’erano una grandissima soddisfazione professionale e il punto di partenza per una buona carriera.
A cosa si ispira per i suoi giochi? A quali libri, quali film?
A niente. O a un sacco di cose. Crescendo ho imparato ad amare la fantascienza, scrittori come Heinlein, Clarke, e Asimov, successivamente Niven e Card. Ero un grande appassionato della prima serie di Star Trek. E ho sempre visto un sacco di film, di ogni genere. La peculiarità dei miei giochi, comunque, è l’umorismo. E da questo punto di vista i miei modelli sono numerosi: Woody Allen, Monty Python, Gary Larson (The Far Side), B. Kliban, il primo “Saturday Night Live”, Dave Barry… e durante l’adolescenza il “Mad Magazine”.
Che linguaggio usavate per scrivere le avventure?
La Infocom ne aveva ideato uno chiamato Zil. Era basato su un linguaggio chiamato Mdl (da pronunciare “muddle”), creato dai fondatori della Infocom al Mit.
Che linguaggio userebbe oggi per scrivere un’avventura? Inform, Tads, Hugo?
Non ne so abbastanza per rispondere. Dovrei provare prima di decidere.
Qual è il miglior gioco Infocom?
Il mio preferito è sempre stato “Starcross” di Dave Lebling, ma mi piace molto, per l’originalità, anche “Nord and Bert Couldn’t Make Head or Tail of It” di Jeff O’Neill. Devo ammettere, comunque, che non ho giocato tutti gli oltre quaranta giochi Infocom fino alla fine, perciò è difficile dare una risposta definitiva.
E il peggiore?
Beh, probabilmente la serie InfoComix, creata in società con un’altra software house. Erano dei fumetti interattivi, ma l’interattività era quella di un Libro Game.
E la migliore avventura mai scritta?
Devo dire ancora una volta “Starcross”, anche se va citata la trilogia di Zork, se non altro per l’importanza storica. Credo che “Witness” sia il videogame con la migliore “sceneggiatura” di sempre. Visivamente, invece, mi tolgo il cappello davanti a “Grim Fandango”. E poi, se vogliamo estendere la definizione di adventure game, vorrei citare “The Fool’s Errand” di Cliff Johnson.
E il miglior autore?
A questa non rispondo. Ho troppi amici che scrivono adventure games, finirei per perderne la maggior parte.
C’è un libro o un film dal quale vorrebbe partire per scrivere un’avventura?
Per ottenere un buon risultato dovrebbe essere un libro – o una serie di libri – oppure un film – o una serie di film – con un universo ricco, pieno di aperture narrative per storie che non siano necessariamente quelle raccontate nel libro o nel film originale. Questo è il segreto del successo, ad esempio, di Hitchhicker: il meglio arriva dopo un po’, quando scompaiono le scene della trama originale. La serie del “Mago di Oz”, “Harry Potter”, i film di “Highlander”, il primo libro di Ender di O.S. Card: ecco alcuni esempi. Anche la serie televisiva “Ai confini della realtà” potrebbe diventare una buona storia interattiva.
Che consiglio darebbe a un autore di IF?
Non lasciate il lavoro che vi dà da vivere.
Cosa ne pensa dei giochi di oggi?
Ne ho giocato qualcuno e vorrei avere il tempo per giocarne altri. Quelli che ho provato sono davvero di alta qualità e sono felicissimo di vedere che questa forma d’arte continua a suscitare interesse, a prescindere da ogni aspetto commerciale.
Appunto: è possibile resuscitare il mercato dell’IF?
C’è bisogno di una nuova tecnologia. Solo così le adventure possono diventare i giochi migliori e più divertenti. Solo così possono risalire la china. Come? Forse con il riconoscimento vocale. E poi ci vorrebbero strumenti che riducessero al minimo I costi di produzione, senza interferire con la qualità: sarebbe un ottimo punto di partenza per far nascere un nuovo mercato.
Adesso lei lavora per il sito Worldwinner. Come si trova?
Sono qui da oltre un anno e mi sto divertendo molto. Per i lettori che non lo conoscono, Worldwinner.com è un sito in cui la gente paga per sfidarsi in giochi di abilità. I tornei sono divisi in categorie: chi ottiene i punteggi più alti si aggiudica denaro contante. Per ora soltanto chi è residente negli Stati Uniti può giocare a soldi, gli altri possono sfidarsi gratis. Abbiamo intenzione di espanderci nel prossimo futuro ma dobbiamo prima di tutto informarci sul fisco e sulle leggi che regolano l’uso delle carte di credito e del gioco d’azzardo negli altri paesi. Dopo diciott’anni di esperienze totalmente diverse, per me è stato un piacevole cambiamento. E’ divertente lavorare su questi piccoli giochi. E’ eccitante fare nuovamente parte di un progetto partito da zero. E’ la prima volta che lavoro seriamente per un sito Internet e sono entusiasta. Ero abituato ad anni di fatica su un gioco, ora me la sbrigo in un mese o due: tutto ciò è meraviglioso. Tanto più che, per le esigenze di download, i nostri giochi non devono superare qualche centinaio di Kbytes: per me è un nostalgico ritorno al passato, dopo anni di giochi su Cd-Rom da centinaia di megabytes.
Che cosa fa Steve Meretzky nel tempo libero? Dove vive?
Vivo nei dintorni di Boston, sono sposato e ho due figli: Dan, 13 anni, e Sasha, che sta per compierne 11. Ho 44 anni: un’età che, nel mercato dei videogame, mi colloca da qualche parte tra Mosè e Matusalemme. Tempo libero non ne ho più, anche se i Dvd mi fanno rimpiangere di non aver mai voluto una babysitter per i miei bambini.
Douglas Adams è scomparso da poco. Che ricordo ha di lui?
Lavorare con lui è stato fantastico. Aveva una visione delle cose diversa, particolare e se ne usciva con puzzle e scene alle quali non avrei mai pensato in un milione di anni: il gioco che ti racconta bugie, un oggetto chiamato “no tea”, trucchi del parser con le parole che cadono in un buco nell’universo e cominciano una guerra interstellare. D’altra parte, Douglas era il più grande procastinatore mai vissuto al mondo! Ero costretto ad accamparmi davanti alla porta di casa sua in Inghilterra per convincerlo a finire il suo lavoro.
E Scott Adams? Ha mai provato I suoi giochi?
Non l’ho mai incontrato e ho un vago ricordo dei giochi dell’Adventure International. Ma il suo ruolo nella storia del genere è indubbiamente importante.
C’è stato qualcuno che ha provato a tradurre in altre lingue I suoi giochi?
No. Jeff O’Neill – autore di “Ballyhoo” e “Nord and Bert Couldn’t Make Head or Tail of It” – ha provato a riscrivere il parser per adattarlo alla sintassi del tedesco e ha tradotto Zork I, ma non credo che questa versione sia mai stata provata o messa in commercio.
Lei ha detto: “Nei giochi Dio è nei dettagli”. Cosa significa?
I giochi di serie A1, che vendono milioni di copie, si distinguono da quelli semplicemente di serie A, destinati raramente al successo, per lo sforzo fatto nelle centinaia di dettagli: un effetto sonoro qui, un comando da tastiera là, un egg qui, un avanzato sistema di autosave là… Tutte queste centinaia di piccole, quasi invisibili cose trasformano un buon prodotto in un prodotto speciale, memorabile. Nelle adventure questi extra sono i bug ridotti al minimo, le diverse soluzioni per un enigma, gli indizi che rendono un enigma difficile “al punto giusto” e le risposte a tutte quelle strane cose che provano i giocatori quando girano attorno a un ostacolo.
E’ vero che la Activision ha distrutto la Infocom?
L’Activision ha certamente preso molte decisioni discutibili, soprattutto quando Bruce Davis sostiutì Jim Levy alla direzione, togliendo potere alla Infocom giorno dopo giorno. Ad esempio, l’Activision rilevò dalla Infocom l’ufficio delle pubbliche relazioni accollandosi le spese per realizzare la pubblicità, che divennero ben presto superiori a quelle precedenti della Infocom. In questo modo, però, i nostri profitti apparivano inferiori alla realtà. Ma il crollo c’è stato quando è arrivata la decisione di entrare in affari con la Cornerstone: il modo totalmente inetto di gestire la situazione ha portato alla perdita di qualcosa come otto milioni di dollari in un momento in cui la sezione dell’azienda che si occupava di giochi creava profitti per poco più di un milione di dollari l’anno. E’ stato un colpo dal quale la Infocom non si è mai ripresa. Ma Cornerstone e linea dura del management Activision a parte, chi può dire se la Infocom sarebbe riuscita a sfondare passando dalle avventure testuali a quelle grafiche o a qualcos’altro? Lo sapremo solo quando qualcuno scoprirà il modo per visitare un altro universo.
Ultima cosa: l’IF deve ringraziare Internet se è ancora viva?
Non ci avevo mai pensato, ma probabilmente è vero. Gli autori ci sarebbero comunque, ma i giochi non avrebbero mai superato una ristretta cerchia di amici.
Steve non ci lascia così. Ci regala, in esclusiva, documenti di straordinaria importanza filologica per le avventure: andate un po’ a vedere…
Maggio 2001