Aggiornato il giorno 11 Maggio 2020
Oltre a essere una delle poche donne autrici di IF, Emily Short è anche un'innovatrice. Imperdibili, per chi si interessa di queste cose, sono i suoi saggi sul game design e la filosofia degli Npc (Non player characters), mentre i suoi giochi, forse perché "sperimentali", o forse perché avanti coi tempi, possono risultare poco attraenti per chi è abituato alle avventure vecchio stile. Ma sono un esempio, modelli da imitare per chi voglia scrivere IF oggi. Ma com'è nata la passioni di Emily per questo genere? Vediamo e scopriamo come, oggi, sia possibile guadagnare (o incassare) qualche soldo scrivendo avventure.
Come e quando hai scoperto le avventure?
I miei genitori comprarono il primo computer quando ero una bambina, nel 1982. Era un Osborne 1 e la maggior parte delle cose che poteva fare non m’interessava. E quindi mi limitavo a usare il word processor per fare i compiti – penso di essere stata l’unica, in classe, a presentare relazioni scritte al computer. Ma giocai a Deadline. Non si può dire che capissi che cosa fosse in realtà o come si dovesse fare, ma guardavo i mieri genitori e provavo a giocare da sola.
Qualche tempo dopo, arrivò a casa il nostro pirmo Macintosh. Allora ero sicuramente più esperta di computer e capace di seguire le trame dei giochi Infocom. Ne avevo molti: la trilogia di Zork, Enchanter, Infidel (anche se non ricordo di averlo mai giocato), un’altra copia di Deadline. Li provavo tutti senza mai risolverne nessuno fino a Wishbringer e Plundered Hearts, due giochi per i quali ho una predilezione particolare proprio per questo motivo.
Qual è la differenza fra adventure games e interactive fiction?
Hmm. Se parliamo di adventure games commerciali o grafiche, io non le gioco. Se dovessi dire questo si chiama “adventure games” e quest’altro “If”, allora credo che l’IF sia un termine più appropriato e dunque più preciso per il genere di cose che rappresenta.
Nei tuoi giochi, gli NPC sono sempre importanti: credi che un buon gioco debba avere buoni NPC?
Se ci sono, ovviamente preferisco avere NPCs fatti bene, ma mi sono anche piaciuti giochi che avevano poca interazione con gli NPC o addirittura nessuna. Non credo ci sia una regola rigida e facile da dire per gli elementi da introdurre per fare un buon gioco. Accade solo che molte delle storie che voglio raccontare coinvolgono dei personaggi, e questo mi porta a sviluppare delle tecniche per ritrarli correttamente.
Dacci tre regole per realizzare buoni NPC
Date loro caratteristiche precise. Un NPC che è un’incolore macchina da domande e risposte diventa noioso, anche se ben realizzato. Comunque, anche un NPC realizzato senza tecniche sopraffine può risultare divertente se offre buoni dialoghi.
Fate in modo che siano attivi. Gli NPC che prendono iniziative per raggiungere degli obiettivi, per cambiare la storia ecc. migliorano l’illusione.
Fate in modo che siano in linea con la storia. NPC poco complessi per storie poco complesse, NPC complessi per storie più elaborate. Mettere un NPC “corposo” come Galatea nel contesto di Heroine’s Mantle non funzionerebbe.
Tre regole per scrivere un buon gioco.
Non siate banali (dal punto di vista del genere, dei puzzle eccetera). Date la vostra impronta.
Siate pazienti.
Beta-test.
Fra i tuoi giochi, qual è stato il più difficile da scrivere?
Sono stati tutti difficili, ma ricordo Phyto’s Mask come il più impegnativo, perché avevo in mano questo grande progetto e circa otto giorni per realizzarlo – e parte del tempo l’ho impiegata per sviluppare il mio sistema di conversazione e per i menu. E poi dovevo andare a scuola e fare altre cose. Ho dovuto rinunciare a qualche pranzo e a qualche ora di sonno.
La maggior parte della gente dice che oggi è impossibile far soldi con le avventure. Perché oggi no e venti anni fa sì? E’ colpa della grafica e delle alte tecnologie?
Credo di sì, almeno in parte. La gente parla spesso di questo, e non sono sicura di avere risposte migliori di quelle date da altri. Forse perché m’interessa meno l’aspetto commerciale ed economico rispetto a molti frequentatori di raif, tra i quali esistono tanti programmatori di professione e numerose persone che giocano le avventure commerciali di oggi. Io non le gioco, davvero: ad eccezione della serie di Myst, negli ultimi otto anni non ho mai provato un gioco che costasse del denaro. Anzi, credo di non aver comprato neanche un gioco dal 1990.
L’unica considerazione in più che posso offrire sull’argomento arriva dai discorsi che faccio con amici non appassionati di IF. Ed è questa: l’IF è difficile. Bisogna imparare il parser, che non è intuitivo: chi ha esperienza con l’IF ha in mente una lista di verbi che, di sicuro, potrà essergli utile. Un principiante si siede davanti al computer e scrive cose che non hanno senso per il parser o che sono troppo astratte per essere state implementate (VAI NEL NEGOZIO anziché NORD, forse, o FAI IL CHECK IN NELL’ALBERGO anziché PARLA CON IL PORTIERE). C’è un curva d’apprendimento, c’è molto di più da scoprire rispetto a un gioco punta e clicca.
Questo è il tipo di critica che mio padre rivolge all’IF ed è anche il motivo per cui lui non gioca molto – a parte il fatto che è molto occupato. Lui non è il tipo di persona che va alla ricerca di giochi in prospettiva con un sacco di roba a cui sparare, ed è interessato alla convergenza di letteratura e interazione che potrebbe offrire un computer, ma il parser è ancora troppo primitivo per i suoi gusti e la scelta di possibilità proposte da un gioco è ancora troppo limitata. Tenuto conto di questo, potrebbe arrivare un momento in cui l’IF sarà sufficientemente sviluppata come esperienza letteraria da poter risultare appetibile per il mercato dei lettori di libri – e uscire dal mercato dei giochi per computer-, ma credo che ci vorrà ancora parecchio tempo.
In realtà, tuttavia, questo è un problema che mi preoccupa poco. A me interessa migliorare la qualità dell’IF ed espanderne le potenzialità. Certo, non sarebbe male che qualcuno mi rendesse ricca – o magari meno povera. Ma ovviamente va spesa anche una parola sull’IF come hobby coltivato da una comunità di volontari-appassionati. La mia inclinazione è fare quello che posso per l’IF e lasciare la questione commerciale da parte.
Qual è il miglior gioco moderno?
Secondo me – ed è un’opinione basata su criteri personali che non tutti condivideranno – uno dei migliori lavori dell’IF moderna è Spider and Web, per l’eleganza degli enigmi, l’equilibrio, la consistenza della sua atmosfera e per la tensiona creata dall’interazione con gli NPC.
E il miglior classico?
Ho sempre ammirato molto Spellbreaker: mi ha sempre stupito per la sua ingegnosità. Elegante, ricco di idee e pieno di cose da scoprire. Giocando, sentivo che l’autore aveva portato le fantastiche potenzialità dell’IF a descrivere cose che potevano esistere solo nell’immaginazione. Come lo zipper – beh, non dirò altro.
D’altro canto, non ho mai provato molti dei giochi considerati tra i migliori, come Trinity o A Mind Forever Voyaging. Ed è difficile dire “Questo è assolutamente il meglio”, perché lavori diversi inseguono obiettivi diversi, e due giochi possono, più o meno, dominare due rispettive categorie senza essere l’uno migliore dell’altro.
Visto come un esercizio di genere, credo che Plundered Hearts sia meraviglioso: certo, era stupido, e no, gli enigmi non erano difficili, ma riusciva a farti entrare nella logica di un universo progettato in un certo modo – l’universo degli strappavesti – e da questo punto di vista ha avuto un bel successo.
E il peggior gioco di sempre?
Ci sono molti giochi che semplicemente furono scritti tanto per scrivere qualcosa e quindi sono in lizza per il fondoclassifica. Potrei dire, probabilmente, Breaking the Code senza offendere troppo l’autore. Mi viene in mente anche qualche gioco terribile ma pretenzioso, però preferisco non nominarne neanche uno. Ho scritto qualcosa in Basic quando avevo 13 o 14 anni che potrebbe essere un ottimo candidato in questa categoria.
Molti giochi di oggi hanno pochi enigmi. E’ una cosa positiva o negativa? Qualche volta, forse, la gente ha voglia di trovarsi di fronte a una serie bottoni, uno rosso, l’atro giallo, l’altro verde…
Sicuro che lo vogliono. Questo tipo di cose, tuttavia, è già stato scritto ed è presente nella maggior parte dei giochi. Heroine's Mantle, Muldoon, Ballerina sono ricchi di enigmi e non mi vengono in mente giochi senza enigmi ai quali paragonarli.
In parte perché un gioco con enigmi richiede più tempo per essere finito: il giocatore, infatti, passa ore a provare combinazioni di casseforti o altro. Per offrire la stessa longevità in un gioco senza puzzle, si dovrebbe scrivere un sacco di testo in più.
Tuttavia credo che esempi come quelli che ho citato dimostrino che i giochi a base di enigmi non sono morti. E io non sono favorevole alla loro scomparsa perché mi piacciono. Ma credo che il genere possa espandersi anche in altre direzioni e che queste direzioni siano più in linea con le mie intenzionI.
Cosa intendi?
Voglio dire che l’IF priva di enigmi, o almeno l’IF costruita attorno a una storia o a dei personaggi, m’interessa di più. E poi non sono molto brava a creare puzzle. Quello degli enigmi è stato un aspetto che ha occupato la maggior parte dei miei pensieri scrivendo Metamorphoses. Ma anche qui i puzzle di per sé non erano straordinari: alla gente, invece, sono piaciuti i nessi e la scelta di opzioni.
Mi sento più abile a creare un sistema – un sistema di simulazione o un sistema di conversazione o altro – più che una serie di puzzle. Mi piace portare il giocatore in un set mentale per fargli capire che tipo di cose può fare per interagire con il mondo. Voglio esplorare le forme possibili di interazione il più possible. Bloccare il giocatore finché non gli viene in mente di far scoppiare una porta con un esplosivo al plastico non m’interessa. O almeno non m’interessa molto.
I puzzle offrono interazione. E lo stesso fanno le conversazioni. Ci sono altre possibilità?
Sono certa che ci siano – allo stesso tempo non credo che i puzzle e l’interazione debbano per forza escludersi a vicenda. Posso immaginare degli enigmi basati sullo scoprire la giusta cosa da dire. Mi pare più importante, comunque, il livello d’interazione con il mondo creato. Con l’IF ci sono molte possibilità:
- oggetti a sé stanti (Adventure e la maggior parte dei giochi vecchia scuola)
- conversazione dettagliata (Galatea)
- conversazione/eventi a un livello più macroscopico (Varicella, in cui il giocatore controlla il tipo di conversazione, che spesso però trascura i dettagli)
- percorsi narrativi da scegliere (mi viene in mente One Week, che ha partecipato alla Papillon's LOTECHComp; e questa è una struttura poco comune nell’IF tradizionale, se non altro perché è difficile da realizzare).
- il testo in sé (The Space Under the Window)
E naturalmente un gioco può combinare due o più di questi aspetti, come succede in Leather Godesses of Phobos con il T-remover. O come accade in Worlds Apart, oggetti e conversazione assieme.
Posso anche immaginare, benchè non mi vengano in mente esempi, giochi con un set di verbi completamente diverso, fatto per rispondere a comandi più elaborati. Anziché >EST, >PRENDI LA SCATOLA BLU, qualcosa come >VEDI COSA SUCCEDE NELL’ALBERGO, >CONVINCI FILOMENA A SPOSARTI. Facendo questo l’autore dovrebbe fare i conti con aspettative diverse da parte dei giocatori. Ci sarebbe, inoltre, molto lavoro di ricerca per scoprire cosa funziona e cosa no. Ma il testo ci consente di raggiungere l’interattività con la storia in modi diversi perché offre varie soluzioni.
Che lavoro fai?
Sto facendo il dottorando: studio letteratura classica, se possiamo chiamarlo lavoro.
Quando non scrivi avventure, cosa fai nel tempo libero?
Leggo, ascolto musica, cucino, vado al cinema. Viaggio, se ne ho la possibilità. Scrivo storie non interattive. Passeggio e faccio fotografie. Sono mediocre in tutte queste cose: mi piace il sushi, ma prepararlo in modo che non sembri strapazzato da un bambino di cinque anni non è facile come sembra. Ma faccio queste cose semplicemente perché mi divertono e non preoccupo troppo del risultato.
Qualche tempo fa ho letto un tuo messaggio su raif, in cui dicevi che stavi pensando di farti pagare per dare consigli su Inform. Facevi sul serio?
No. Una delle cose che, in genere, mi piacciono della comunità è che ci si aiuta a vicenda. Ho sicuramente imparato molto facendo domande. Mi pare di aver detto quelle cose perché mi ero resa conto che c’era qualcuno poco incline a impegnarsi per cercarsi le risposte da solo. Ma nella maggior parte dei casi, sono più che felice di dare il mio contributo per aiutare gli altri ad imparare Inform e il game design.
Chi è il miglior autore di sempre?
Non lo so, ma per quanto mi riguarda ci sono autori che amo più di altri. Mi vengono in mene Zarf and J. Robinson Wheeler, ma ho apprezzato molto anche I lavori di Kathleen Fischer e di Matt Fendahleen. E benché non scriva mai nuovi giochi – qualcuno può cominciare a credere che ci abbia snobbato-, avrò sempre una particolare predilezione per Graham Nelson.
Credi che oggi ci siano giochi migliori rispetto a dieci-quindici anni fa?
Sì.
La letteratura greca e latina è sempre presente nei tuoi giochi. A quali altri libri ti ispiri?
Faccio qualunque ricerca mi sembri appropriata. Ho letto molto Frances Yates per Metamorphoses – Giordano Bruno and the Hermetic Tradition, in particolare. A volte leggo la poesia, alla ricerca di qualcosa che catturi l’atmosfera del gioco che ho in mente, anche se la poesia non viene poi citata nel gioco.
Quanto c’è di autobiografico nei tuoi giochi?
Il 17,4 per cento.
Scherzi a parte, credo di capire cosa intendi, ma è davvero una domanda cui è impossibile rispondere. Ovviamente rievoco cose che fanno parte della mia vita. Ma non è un processo lineare, non mi limito a introdurre esperienze che ho avuto o gente che ho incontrato senza cambiare una virgola. Piuttosto le cose che mi succedono mi servono come base, spesso le amplifico, le rivedo, o le cambio per renderle più drammatiche e in linea con la storia. Nei miei giochi, non ci sono personaggi in cui mi possa identificare direttamente, così come nessuna delle cose che invento è totalmente distante dalla mia vita.
Qual è il miglior gioco che hai scritto?
Non lo so. Probabilmente Galatea è quello che colpisce di più, nel senso che propone delle cose che, quando uscì, erano davvero nuove. Ed è plausibile che non scriverò mai più niente di così innovativo. Credo che Metamorphoses sia meno valido tecnicamente, ma probabilmente è il più tradizionale dei miei giochi, quello più vicino alla vecchia scuola.
Che computer hai e quanto tempo lo usi ogni giorno.
Ho un Macintosh G3 portatile, sempre acceso quando sono sveglia.
Chiudiamo parlando del tuo ultimo gioco: City of Secrets, che uscirà a fine anno allegato al Cd del gruppo musicale Secret and Secret. Com’è nata la collaborazione con la band?
Mi hanno scritto una e-mail chiedendomi di fare il lavoro. Uno di loro aveva giocato a Metamorphoses. Inizialmente ho rifiutato – era un grande progetto e non pensavo di avere il tempo per farlo. Loro hanno insistito e mi hanno convinta. Ne è uscito un gioco molto grande, proprio come avevo previsto. Il mio timore iniziale era che sarebbe diventato uno .z8, infatti così è stato. Anzi, anche di più. In parte perché ho dovuto fare i conti con la complessità di una sceneggiatura senza lacune. E in parte perché abbiamo deciso di convertirlo in Glulx per aprirci altre possibilità tecniche.
D’altra parte, comunque, City of Secrets mi ha permesso di migliorare molti sistemi di programmazione e design che adesso uso per i miei lavori. E questo è stato un grande vantaggio. La storia è molto complicata, ha vari percorsi narrativi e una grande mappa (beh, grande per essere un mio gioco, visto che tendo sempre a una geografia compatta). Ho dovuto, dunque, creare un sistema di gestione che controllasse cose come i luoghi accessibili in una particolare fase del gioco, i percorsi narrativi che si aprono man mano eccetera. E’ stato molto utile.
Cos’altro puoi dirci di questo gioco?
La maggior parte di ciò che c’è da sapere è sul mio sito: http://emshort.home.mindspring.com/CSUpcoming2.htm.
E poi ho preparato un’anteprima per la Trailer Comp di agosto. Il gioco è costruito sulla base di una sceneggiatura che mi hanno dato i Secret and Secret, ma io l’ho ampliato molto per renderlo dettagliato fino al punto in cui mi sembrava necessario. Dunque, in un certo modo, non è un prodotto interamente mio, ma tutto quello che va oltre la struttura base è stato totalmente creato da me: luoghi, personaggi, parti della storia eccetera.
Per quanto mi riguarda ho praticamente finito – ho fatto il beta-testing e eliminato un mucchio di bug – sto solo aspettando che mi diano qualche altra indicazioni per completarlo definitivamente.
City of secrets, dunque, sarà venduto. E così, dopo molti anni (e qualche recente tentativo infruttuoso) diventerai la prima persona a guadagnare dei soldi con le avventure. E soprattutto raggiungerai un pubblico di giocatori maggiore.
Beh, i Secret and Secret sono una piccola band indipendente. Non abbiamo pensato di allargare il pubblico in maniera considerevole. Sarà bello, tuttavia, raggiungere un certo numero di persone che non hanno mai sentito parlare di IF. Ciò che più m’interessava, comunque, era creare qualcosa che rispondesse alle aspettative della band (ad esempio, far sì che l’avventura potesse essere giocata anche da chi non aveva mai provato un prodotto del genere), ma allo stesso tempo offrire qualcosa con una struttura solida che potesse essere giocata anche dagli esperti. Non è stato facile raggiungere quest’equilibrio.
Sì, sarò pagata. Ma il rapporto soldi/tempo è sproporzionato al punto che, se non fosse stato un investimento utile per i miei giochi futuri, non avrei accettato. Questo non è ancora un mercato che ti offre una rendita perenne. E non lo diventerà nell’immediato futuro.
Ottobre 2001