E’ domenica 2 febbraio 2003 e ho appena finito di giocare Insight, l’ultimo lavoro di Jon Ingold. E’ stato lo spunto per questa riflessione – già iniziata via e-mail con Fabrizio Venerandi – sulla (narrativa) interattiva.
Attenzione: questo articolo contiene spoiler di Natalie e Insight.
“Is this alright?” asks the young cop. “Do you need the lights lower, or incense, or something?”
“This is fine. I just need to see him, ask some questions.”
“Okay,” he nods. “Just buzz the buzzer when you’re done.” He leaves, pulling the metal door to with the click of a magnetic lock. Across the table from you the man stiffens, waiting for you to speak.
Comincia così Insight, l’ultimo lavoro di Jon Ingold, già autore di All Roads, ambientato a Venezia e vincitore della IF Comp 2001 (il premio più prestigioso delle avventure testuali). Questo gioco mi ha fatto riflettere. La mia idea di avventura testuale è un po’ diversa da quella dominante in Italia. La cosa in assoluto più importante – per me – è la *storia* o almeno un inizio di *storia*. Io parto sempre da questo se devo scrivere un’avventura testuale. E anche se devo giocarla. Per me è un po’ come comprare un libro: se la storia – e i personaggi – mi interessano, spendo soldi e comincio a leggere. Altrimenti lo lascio tranquillamente sullo scaffale della libreria.
Tra i giochi italiani degli ultimi tempi, quello che mi ha colpito di più in assoluto è senza dubbio Natalie di Fabrizio Venerandi. Lui è uno scrittore e si vede. Ma non si limita a raccontare una storia, usa molto bene anche il *mezzo interattivo*. Gli enigmi ci sono (guai se non ci fossero), ma fanno parte della struttura, non sono la struttura. Fabrizio è senza dubbio partito dalla storia ed è stata poi la storia a suggerirgli gli enigmi Quando dico che usa bene il mezzo interattivo, comunque, penso soprattutto al geniale cambio di persona (dalla seconda alla prima), cosa che è al tempo stesso un enigma (chi sta davanti alla tastiera deve capire che il personaggio è… cambiato) e un espediente narrativo (che starebbe benissimo anche in un racconto tradizionale o in un romanzo). La voglia di continuare mi veniva perché mi interessava la storia (il suo sviluppo) non certo perché c’era una sfida: una porta chiusa da aprire, una serie di gemme da collezionare, un mostro da ammazzare.
Natalie è senza dubbio un gioco innovativo, che allarga il concetto di avventura testuale come lo intendiamo in Italia. E’ un po’ quello che succede in America o in Gran Bretagna, dove la gran parte degli autori cerca sempre una certa originalità per far proseguire la storia. Storia che non deve essere necessariamente un capolavoro, intendiamoci. La storia di Insight non è niente di eccezionale, è invece straordinario (fuori dall’ordinario) e interessante il modo in cui è raccontata. La narrativa interattiva, da questo punto di vista, ci offre grandi potenzialità che andrebbero sfruttate per non ritrovarci di fronte solo (narrativa) interattiva, con la storia tra parentesi.
Tra questi espedienti narrativo-interattivi, c’è l’uso insolito del comando >RESTART. In Insight – ma anche in altri giochi americani o inglesi precedenti – a volte sembra che il gioco (la storia) sia finito, ma non è così: si digita >RESTART e, anzichè *ricominciare da zero*, si *prosegue*. Scorretto? Sì, anzi no, e se provate Insight scoprirete il perché. E’ un trucco, un espediente-enigma che rientra benissimo nella struttura del gioco-racconto. Non è questione di essere originali, è questione di sfruttare al meglio tutte le potenzialità del mezzo interattivo. Dove sta scritto che la narrativa interattiva dev’essere irrigidita da regole ferree per essere valida? Siamo sempre stati abituati a rivolgerci al computer dandogli del tu (>PRENDI MELA), in Natalie, invece, a un certo punto dobbiamo parlare a noi stessi (>PRENDO MELA): scorretto? No e se avete giocato Natalie lo sapete benissimo.
Il mezzo interattivo permette, tra l’altro, di *premere un tasto* per proseguire (o cambiare epoca), di *entrare nel corpo* di un altro personaggio, di *accelerare il ritmo della storia*, magari con un timer-bomba che sta per arrivare a zero. Espedienti narrativi, ma anche interattivi che possono essere (o diventare) enigmi.
In Italia, invece, siamo ancora troppo legati alla *nostra* tradizione, che comincia con Avventura nel Castello e continua con i giochi di Viking ed Explorer. Non vedo un particolare interesse per le *storie* e questo – per carità – può essere comprensibile: uno ha tutte le ragioni del mondo per dire “Io voglio *giocare* non *leggere*”. Io però non la vedo così: “Io voglio *leggere giocando*”. Non mi piace la (narrativa) interattiva, se la storia non mi appassiona non ho nessun interesse a raccogliere tutte le gemme sparse nella mappa. A quel punto, preferisco uno shoot ‘em up.
Voglio risolvere l’enigma per vedere dove mi porta la storia, non voglio vedere dove mi porta la storia per risolvere l’enigma.
Insight ha diversi finali e ho tutto l’interesse a rigiocarlo e a risolvere altri enigmi per scoprire nuovi rami della storia. E così per scrivere un gioco non parto assolutamente dalla mappa, dai tesori, dalle porte e dalle botole. Parto dall’intreccio e cerco di sfruttare al meglio il mezzo interattivo, con inserti, flashback, salti temporali, dialoghi.
Insight ha un’altra trovata assolutamente originale, che arriva a mettere in discussione il manuale dell’avventuriero classico. Per finirlo, bisogna essere a conoscenza anche di cose che si apprendono *dopo la morte* (o finta morte): un’eresia per l’avventuriero classico, secondo il quale una delle prime regole è: “Devo essere in grado di finire il gioco senza morire nemmeno una volta”. Ingold, usando sapientemente il mezzo interattivo, mette in discussione tutto e ci dà una storia, un mucchio di idee e, naturalmente, una serie di enigmi. Non è un gioco perfetto, ma è un ulteriore passo avanti nello sviluppo del mezzo. Proviamoci anche noi e dimentichiamo – ogni tanto – le cacce al tesoro senza atmosfera. Dimentichiamo, qualche volta, la (narrativa) interattiva. Oppure continuiamo a chiamarle semplicemente avventure testuali.
Francesco Cordella, 2/3 Febbraio 2003